L’Ente Governativo Giapponese di Promozione del Commercio con l’Estero – Jetro – è preoccupato per la situazione in cui sta muovendo la cucina giapponese, spesso “contraffatta” in Italia da parte di alcuni ristoratori cinesi. Se in tutto lo stivale la cucina giapponese negli ultimi anni è diventata sempre più trendy, molti ristoratori provenienti dalla Cina si stanno tramutando in ristoratori giapponesi senza che, nelle cucine, via sia un solo cuoco del paese del Sol Levante. Da alcuni dati rilevati a Milano sei anni fa erano presenti “solamente” 70 ristoranti simil-giapponesi, oggi questo numero è salito a oltre 200. Tutti questi dati, incrociati con quelli dell’ambasciata e consolato nipponico, lasciano pochi dubbi: non è in corso una diaspora dal Giappone verso l’Italia.
Ovviamente non manca il vantaggio economico, sostenuto dai solerti cuochi e lavoratori cinesi in Italia: hanno una grande esperienza nell’arte culinaria e riescono a riprodurre i piatti giapponesi con grande facilità e risparmio in termini di costi che si riflette sul conto finale al tavolo.
La disaffezione verso la cucina cinese ha imposto la modifica di pietanze e tipologia di servizio in favore di un “brand Paese” come quello giapponese.

Per questi motivi l’Ente Governativo Giapponese di Promozione del Commercio con l’Estero e la Federazione Italiana Pubblici Esercizi stanno studiando le ipotesi di prevenzione della contraffazione culinaria basata sull’affinità linguistico-culturale dei due Paesi asiatici e sulla capacità di replicare alla perfezione gli ideogrammi nipponici sulle insegne. Una prima ipotesi al vaglio degli enti è la creazione di un certificato di autenticità del cibo per limitare al minimo gli effetti di questo inquinamento alimentare.